This is the blog for Franko B's sculpture class at Accademia di Belle Arti di Macerata, Italy.

Testo su Hans Hemmert

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Hans Hemmert è un artista appartenente al gruppo dell’Inges Idee fondato a Berlino nel 1992 e del quale ne sono protagonisti anche Axel Lieber, Thomas A. Schmidt e Georg Zev. Insieme hanno tutti lavorato su progetti per spazi pubblici.

Per capire bene un sito su cui si va ad intervenire, deve essere ben esaminata le sua qualità spaziale, sociale, storica.
L'arte pubblica può spostare un dato contesto, al fine di aprire lo sguardo su altri aspetti della realtà, così facendo il sito diventa più interessante e più ricco. Il corso abituale della vita pubblica viene interrotto per un momento e lo spettatore ha la possibilità di riflettere su qualcosa che ha inaspettatamente di fronte. L'obiettivo della Inges Idee è quello di promuovere una nuova caratterizzazione del sito e del rapporto dello spettatore con ciò che percepisce.

Interventi artistici di successo che non solo arricchiscono il sito in genere, ma anche le persone.

L’aria è il materiale di lavoro di Hans Hemmert. Egli riempie d’aria dei palloni e li sistema nell’ambiente in modo tale che sviluppino delle qualità artistiche. Hans Hemmert concepisce il suo lavoro da scultore - non in maniera tradizionale, ma nel senso di interazione con lo spazio. Ammette di essersi interessato da sempre allo spazio vuoto nelle sculture di Henry Moore e le modellature spaziali dell’artista britannica Rachel Whiteread non sono del tutto estranee ai suoi lavori. Hemmert distingue tre modi di rapportarsi allo spazio. Nel primo crea grandi palloni gialli che sono da considerarsi delle vere e proprie sculture. Questi palloni vengono compressi tra gli elementi architettonici già presenti, in modo che si deformino; e il loro volume, subisce una strutturazione scultorea voluta e indirizzata. Architettura e scultura appaiono così in reciproca dipendenza e nella gara dei volumi lo spazio si ridefinisce in maniera innovativa. Un altro modo di Hans Hemmert di interagire con lo spazio consiste nel calarsi in un pallone posto in un luogo della sua vita quotidiana, per esempio il soggiorno, lo studio o la macchina. In questo lavoro artistico, tutti gli oggetti che si trovano all’interno dello spazio architettonico, ma fuori dall’involucro in lattice del pallone, risaltano nettamente dall’interno: nella macchina per esempio a risaltare sono l’apertura del tetto scorrevole, il cruscotto, gli attacchi laterali per le cinture di sicurezza e i pulsanti di chiusura degli sportelli. La sfera di gomma riproduce lo spazio esterno come un rilievo a 360 gradi. Si crea una sorta di guscio giallo di lattice che sostanzialmente unifica oggetti, pareti, soffitto, e pavimenti di conseguenza nessuno di questi particolari architettonici possono più essere chiaramente identificati o separati l'uno dall'altro. Il nuovo spazio che si crea è organico, quasi uterino con esseri viventi al suo interno. Hemmert documenta la sua presenza in questi ambienti “gonfiati” con grandi foto retro illuminate, che rendono una buona impressione dell’atmosfera ermetica e quasi sterile di questi spazi interni. Il viaggio dell’artista dentro questo luogo di silenzio e isolamento evoca nelle foto un’aura di elevazione e un senso di particolarità e d’indefinibilità. Un terzo modo di agire nello spazio viene praticato da Hans Hemmert attraverso brevi “performance”, documentate da video e fotografie. Pressato dentro un piccolo pallone giallo a forma di uovo (con poca aria a disposizione), l’artista compie gesti della vita quotidiana, come per esempio portare una cassa di birra, sedersi su una sedia, salire su una scala o andare sul monopattino. Queste attività vengono fotografate e documentano non soltanto la particolare relazione tra gli oggetti concreti e la forma piena ma inafferrabile del pallone, ma anche il legame tra la plasticità della scultura e lo spazio. Tale relazione tra scultura e spazio si evidenzia maggiormente quando l’artista balla disco-music dentro uno di questi palloni gialli. Tutti questi “giochi di abilità” effettuati tramite i palloni hanno come tema il dialogo con la superficie, la sottile e vulnerabile membrana tra l’individuo e il mondo circostante. L’osservatore, anche desideroso di partecipare alla visione interna delle “sculture-palloni”, ne rimane escluso. La superficie reale e le foto degli spazi interni sono tutto ciò che vediamo. Il confine tra dentro e fuori è, a parere dell’artista, l’elemento più importante del nostro mondo visibile. Solo lui ha la possibilità di guardare dietro la superficie liscia e luccicante, anche se il privilegio dell’artista di penetrare all’interno, è conquistato a caro prezzo. Può infatti restare solo poco tempo dentro il pallone, dal momento che l’aria respirabile al suo interno diminuisce rapidamente – egli si pone così spontaneamente in un’esistenziale situazione-limite. La sua permanenza nel pallone è compensata dalla perdita del contatto col mondo esterno. Gli oggetti esterni si plasmano attraverso la sottile membrana in lattice, ma non permettono un contatto o un utilizzo. Di conseguenza l’artista, nonostante si trovi dentro il suo pallone e all’interno del suo atelier, non può lavorarci, perché non riesce a maneggiare gli oggetti; può comodamente sedere nella sua macchina “pallonizzata”, ma non riesce a guidarla - può muoversi dentro i piccoli palloni e pure afferrare singoli oggetti, ma solo con un aiuto esterno. La strana atmosfera mistica, che emana l’interno del pallone grande, si tramuta in una situazione ridicola, di fronte ai tentativi dell’uomo nel pallone piccolo di andare in triciclo o di bere anche solo una birra. Anche l’incapacità di gestire ciò che succede nel mondo si amplifica, quando l’artista, “vestito” col pallone piccolo si infila nello spazio di un pallone più grande, e, avvolto in un doppio “bozzolo”, rimane invisibile e anche cieco. Spiega Thomas Wulffen a proposito di questo fenomeno: “Si può considerare questa immagine come esempio del modo di dire “vivere nel proprio bozzolo”, malattia che colpisce l’uomo post-moderno di fronte ad un mondo esterno sempre più incontrollabile. Ci si ritira all’interno delle quattro pareti domestiche, nel proprio bozzolo e ci si disinteressa del mondo.” Non è l’eleganza dei dirigibili o la “leggerezza” della loro apparenza a far risaltare in questo modo le creazioni (quasi sempre) gialle: i palloni in lattice di Hans Hemmert non sono forme aeree, sono pesanti, sono colmi di pensieri che si volatilizzerebbero immediatamente nell’aria se si volessero concretizzare. Sono riempiti di concetti fisici, di attesa, di schizzi e di interrogativi degli sguardi esterni. Fanno l’imitazione e fanno “finta di”: ”Anche noi siamo solo degli esseri umani”. Ma in realtà lo sanno esattamente: “Siamo solo noi, i parassiti”. Le condizioni di solitudine, celibato, autoerotismo e feticismo da una parte, l’estetica pop - consumistica e il design dall’altra rendono questi plasmatori degli alieni che oscillano testardamente tra “corpo” e “anima”. E’ come se fossero costantemente risucchiati dentro il proprio fumetto, diventassero il meta-oggetto di un mondo di cartoni, assumessero le forme dei barbapapà, come delle amebe, polimorfi. Fumetti con scritto: “io”. I palloni, che siano a forma di melone o fallica, o adattati alla conformazione dell’ambiente, riproducono stati di aggregazione dei corpi: scrive Henri Bergson: “Ho posto al centro di tutte queste figure un’immagine, che chiamo il mio corpo: la sua attività virtuale si manifesta come riflesso degli oggetti circostanti su me stesso.” Allo stesso modo si possono immaginare in forma astratta i pensieri che vogliono uscire dall’interno del pallone. Hans Hemmert è un artista “senza parole”. I suoi parassiti sono descrizioni di stati d’animo che parlano tacitamente di desideri irrealizzabili. Prendono origine dal mondo, in cui le leggi della gravità (e non solo quelle) sono capovolte. Quindi i suoi oggetti, le sue realizzazioni fotografiche o i suoi disegni sono strettamente imparentati con il genere del fumetto. Impotentemente si assiste all’affollarsi dei suoi palloni e al loro rotolare oltre l’abisso profondo. Ho voluto affrontare il discorso di questo artista perché mi ha molto incuriosito vedere in un museo la registrazione della performance in cui Hemmert si esibisce ballando all’interno di un pallone giallo. Avevo pensato di svolgere il lavoro della mia tesi intorno al concetto di “Limite” e il lavoro di questo artista credo si avvicini molto al tema che voglio affrontare. La vita dell’essere umano si esprime nel continuo, perenne incontro-scontro tra la potenza del desiderio e la costrizione del limite. Il desiderio è il motore stesso dell’esistenza umana, l’energia che spinge l’uomo all’ampliamento di sé e dei suoi semplici spazi esperienziali. E’ ciò che ci fa muovere, cercare, lottare. In tutto questo vedo un’ analogia con le performances di Hemmert , in cui egli cerca di relazionarsi con lo spazio esterno ma trova un limite un impedimento (dato dal materiale in lattice giallo) che gli rende difficile il semplice rapportarsi con il mondo.



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